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Perché Giordano
Bruno
La vita di Giordano Bruno
Le idee del filosofo
Uno spirito libero
Processo di un Apostata
(1592-1600)
La posizione della Chiesa
13 dicembre 2004 - Campo
de' Fiori
Letture consigliate
Lettera aperta al Papa
Perché Giordano Bruno
In questo sito abbiamo deciso di dedicare una pagina a Giordano Bruno,
una delle più belle menti della sua epoca, condannato al rogo nel
1600 dalla Chiesa Cattolica per le sue posizioni filosofiche che anticiparono
e ispirarono il pensiero ateo dei nostri tempi. Ecco le ragioni di un
tale crimine dalle parole di un grande studioso del filosofo nolano, Anacleto
Verrecchia:
"Come si spiega l'accanimento della Chiesa contro il frate di
Nola? La risposta va cercata nella filosofia stessa di Bruno, la quale
teorizza non solo che l'universo è infinito, ma che è eterno, cioè che
è sempre esistito e sempre esisterà. Tutto questo rende superfluo un dio
creatore, che infatti non si saprebbe dove piazzare. Ma se non c'è posto
per un dio, non c'è neppure per i chierici, suoi ministri: tutti disoccupati!
Visto così, Bruno dev'essere subito apparso un filosofo troppo pericoloso
per la Chiesa, e ciò spiega perché essa, dopo averlo ucciso, abbia
sempre cercato di insegretirlo o almeno di diffamarlo. Se avessimo tutti
gli atti del processo, anziché solo frammenti o spezzoni, sicuramente
verrebbe fuori che il vero motivo della sua condanna al rogo fu soprattutto
la teoria dell'universo infinito ed eterno. Invece la Chiesa ha accettato,
in qualche modo, la teoria del Big- Bang, dicendo che solo un essere onnipotente,
in altre parole un dio, poteva provocare una simile esplosione cosmica.
Già, ma quell'esplosione potrebbe anche far pensare che Dio si
sia sparato. Infatti né in terra né in cielo c'è
traccia di un essere sommamente buono come quello di cui cianciano i chièrici.
Motivi per spararsi non gliene mancavano di certo, dopo aver «creato»
un mondo come questo. È ciò che pensa anche Schopenhauer:
«Se un dio ha fatto questo mondo, io non vorrei essere quel dio, perché
il dolore del mondo mi strazierebbe il cuore»". (Nachlass, München
1985, III, 57)”. (Anacleto Verrecchia, “Giordano Bruno”, pag.11)
La vita di Giordano Bruno
Il domenicano "Fratello Bruno" (1548-1576)
Nato nel gennaio del 1548 a Nola, un tranquillo paese vicino a Napoli,
Filippo Bruno è figlio di un gentiluomo senza titolo e dal modesto reddito.
La scuola più vicina al paese gli dà un’istruzione pregna di un umanesimo
che mette l’accento sugli autori classici, lo studio della lingua e della
grammatica latina. Questo insegnamento lo segnerà tanto quanto la pedanteria
che lo accompagna e lo rifiuta. A 14 anni parte per Napoli, dove raggiunge
l’università pubblica. Parallelamente, alcuni corsi particolari lo mettono
al centro di dibattiti filosofici tra platonici e aristotelici. Fin da
quest’epoca, egli scopre la mnemotecnica e quest’arte della memoria, allora
in voga, risulterà presto una delle sue discipline favorite.
A questo primo strato umanistico e filosofico, viene a sovrapporsi uno
strato teologico determinante. Il 15 giugno 1565, Filippo ritorna dai
Fratelli predicatori di San Domenico Maggiore. Questa scelta sembra motivata
dal prestigio del convento domenicano che conferisce titoli indiscussi
e ben considerati in tutta l’Italia. È anche un prezioso rifugio in questi
tempi turbati dalla carestia e dalle epidemie. Per dieci anni Bruno, che
ha adottato il nome di Giordano in omaggio ad uno dei suoi maestri in
metafisica (Giordano Crispo), lega la sua vita ai domenicani, digerisce
una cultura dogmatica e pluridisciplinare (filosofia naturale, dialettica,
retorica, metafisica…). La sua condotta sembrava conforme al motto domenicano
verba et exempla (parole ed esempi). Diventa prete nel 1573. Lettore
in teologia nel luglio del 1575, sostiene con successo una tesi su alcuni
aspetti del pensiero di Tommaso d’Aquino e di Pierre Lombard. Tuttavia,
gli indizi di un’imminente rottura sono già percettibili.
In realtà, Bruno nasconde uno spirito ribelle alla gogna teologica
e ha il gusto di vagabondare verso i sentieri poco ortodossi. La sua vorace
curiosità non smette di crescere e di guadagnare in eclettismo. Si nutre
abbondantemente delle opere di Erasmo, umanista considerato un eretico
del 1559. Ostenta gusto per l’ermetismo, la magia ed inizia una passione
per la cosmologia staccata dall’approccio teologico. Fin dal suo primo
anno di noviziato, era stato accusato di profanazione del culto di Maria.
Finisce per urtare contro la gerarchia sulle questioni del dogma della
Trinità, che egli respinge. Viene condotto contro di lui un procedimento
per dichiararlo eretico. Bruno anticipa la sentenza: abbandona il saio
domenicano e fugge da Napoli nel febbraio del 1576. Questa apostasia getta
Bruno in una vita avventurosa dove la precarietà materiale si accompagna
alla brevità dei soggiorni
Il
suo lungo peregrinare (1576-1592)
Per quindici anni, la sua vita appare come una scorciatoia commovente
e metaforica: il barcamenarsi del percorso di un pensiero ampio e libero.
Alle sinuosità della sua mente risponde il suo peregrinare in tutte le
parti d’Europa.
Dal 1576 al 1578 cerca di stabilirsi in Italia, al prezzo di incessanti
cambiamenti imposti dalla sua condizione di apostata quanto dalla sua
crescente originalità. Genova, Noli, Savona, Torino, Venezia, Padova,
Brescia, Napoli… Bruno vive con difficoltà delle lezioni di grammatica
o di astronomia, riesce però a far pubblicare un’opera prima a Venezia
di cui non resta nient’altro che il titolo “Dei segni dei tempi”. Finisce
per esiliarsi, si reca a Chambéry, poi a Ginevra dove spera di incontrare
un’oasi di pace. L’antro calvinista lo seduce temporaneamente: è integrato
nella comunità evangelica italiana del marchese di Vico, il saio domenicano
è definitivamente abbandonato, assiste alle prediche, s’iscrive in diverse
accademie… Finirà per unirsi alla causa calvinista? Eccolo di nuovo in
conflitto con la gerarchia di cui contesta la competenza di uno dei membri.
Il 6 agosto 1578, viene arrestato e scomunicato. Seconda esclusione da
una comunità religiosa!
Bruno non resterà là. Riparte: Lione, Tolosa… questa città sotto il giogo
del severo dogmatismo cattolico lo tollera per due anni. Riesce ad insegnare
la fisica, la matematica.
Un’opera sulla mnemotecnica, “Clavis Magna” lo fa conoscere ad
Enrico VIII. Il re, stupito dalle capacità della sua memoria abissale,
lo convoca a Parigi e si fa suo protettore. La vita di Bruno conosce allora
una specie di età d’oro. Cinque anni eccezionalmente stabili (fino al
1583) lo vedono figurare tra gli abituali filosofi di corte. Insegna al
Collegio dei lettori reali (il Collegio di Francia), si dedica agli sviluppi
del suo pensiero. Di fronte alle tensioni religiose del momento, adotta
una posizione tollerante, senza dare ragione a nessuno degli estremismi
dei protestanti e dei leghisti. Nel 1582, “Il Candelaio”, feroce
commedia satirica circa la mentalità dei suoi tempi, conferma il
suo talento proteiforme e rivela un vero stile da scrittore, originale
e vivo, lirico ed ironico, innamorato d’immagini sorprendenti, raffinate
o brutali.
Nell’aprile del 1583, munito di una raccomandazione reale, Bruno si reca
in Inghilterra, prima a Londra e poi ad Oxford. L’accoglienza che gli
viene riservata è piena di ostilità. La sua reputazione è brillante, ma
solforosa. Non la smentirà: l’esposizione delle sue idee maltratta l’opinione
anglicana, solleva numerose critiche, suscita dispute appassionate. Deciso
a trionfare, appollaiato sul suo orgoglio di pensatore che conosce il
proprio valore e giudica non senza alterigia quello dei suoi avversari,
Bruno consacra due anni a replicare per le rime. Due anni che fanno di
Bruno un filosofo, un teologo ed un potente scienziato, innovatore, impertinente.
Nel 1584 escono 3 delle sue opere: "La cena delle ceneri”, “De
la causa, principio et uno”, “De infinito, universo et mondi”.
Queste opere espongono in particolar modo una visione cosmografica sublime
ed audace, rivoluzionaria, quasi visionaria. Affonda la vecchia concezione
sempre regnante del geocentrismo, sostiene la rappresentazione copernicana
del mondo… anche superandola: l’universo è infinito, popolato da una
moltitudine di mondi simili al nostro. Concependo un mondo aperto,
Bruno compie un salto nell’Immensità. La forza della logica della sua
intuizione ne fa un precursore di Keplero e dell’astronomia moderna. Ma
Bruno resta ancorato nella sua epoca, mischiando alle sue folgorazioni
credenze ermetiche, magiche ed animiste: la vita anima pianeti preoccupati
di esporre le loro facce al sole, la materia possiede un’anima sensibile
e razionale…
Nel 1585, tre nuove opere approfondiscono e proseguono le sue audacie.
“Lo spaccio della bestia trionfante” critica i comportamenti calvinisti
e cattolici in nome di un attivismo umanista… “La cabala del cavallo
di Pegaso” è un opuscolo satirico che demolisce metodicamente l’edificio
aristotelico, venerabile riferimento da diversi secoli. Infine, “Gli
eroici furori” ribadiscono l’idea di un mondo che non ha più un centro…
e Dio più nessun luogo.
Di ritorno da Parigi, Bruno vede la sua posizione deteriorarsi. Il re
non può più arrischiarsi a difendere un “eretico” del sapere, mentre gli
scontri religiosi s’inaspriscono. Bruno è isolato da un oscuro affare
che l’oppone a Mordente, geometra sostenuto dai leghisti, che lo accusa
di attribuirsi la paternità del compasso differenziale. Un nuovo esilio
conduce il focoso pensatore in Germania. Nel giugno del 1586, l’università
di Marburg e poi di Wittenberg lo accolgono. Vi rimane per circa due anni…
il tempo di scontrarsi nuovamente con la gerarchia.
Nell’autunno del 1588, Giordano Bruno apprende della sua scomunica, proclamata
questa volta dal pastore della chiesa luterana!
La sua rapida messa al bando lo obbliga a riprendere la strada. Prima
Helmstedt, poi Francoforte. Nell’intervallo, la sua produzione non s’indebolisce,
alimentata dal fuoco delle polemiche e dei suoi viaggi successivi. La
“Trilogia di Francoforte” testimonia della sua volontà di mettere
in ordine il suo pensiero. “De immenso et innumerabilibus” riesamina
le basi della sua cosmografia. “De monade, numero et figura” conduce
ad una riflessione magica in cui si afferma il rapporto organico tra i
numeri e le figure geometriche. “De triplici minimo et mensura” è
una bozza di sorprendenti sviluppi sull’infinitamente piccolo che
annunciano le riflessioni che seguiranno sull’atomo. La sua ultima opera,
comparsa nel 1591 (“De imaginum compositione”) espone un
sistema mnemotecnico incredibilmente sofisticato.
Le idee del filosofo
Mnemonica ed ermetismo
Dotato di una memoria prodigiosa che gli permette, si dice, di recitare
7.000 passaggi della Bibbia o anche 1.000 poemi di Ovidio, il filosofo
è volentieri ospite dei principi d’Europa, dove dà libero sfogo alla sua
inclinazione per la libera discussione.
È autore di due libri che descrivono un metodo di memorizzazione.
Questi libri hanno dato luogo a numerose interpretazioni e polemiche.
Si tratta di memorizzare una successione di luoghi in un edificio, e di
associare così alla serie di luoghi memorizzati delle immagini destinate
a ricordare i punti di un discorso. Pronunciando il proprio discorso,
l’oratore passeggiava nella propria immaginazione lungo i luoghi che aveva
memorizzato, cogliendo al passaggio le immagini che gli ricordavano le
figure del suo discorso.
Il sistema mnemonico topografico non si limitava ai soli edifici, ma poteva
associare lo zodiaco o lo stesso ordine cosmico. L’esperienza che consiste
nel far riflettere l’universo nella propria mente è all’origine della
memoria magica del Medio Evo. Utilizzando le immagini magiche o talismaniche
come immagini mnemoniche, il mago sperava di acquisire la conoscenza universale
così come dei poteri, simili in qualche modo ai poteri del cosmo.
Questa immagine è l’occasione per descrivere il nuovo sistema copernicano,
ma lascia ugualmente pensare che Giordano Bruno s’impegni nella via dell’ermetismo
e della magia.
Il domenicano Giordano Bruno appare come un filosofo ed un mago ermetico,
portatore di un messaggio religioso originale. Il messaggio che apporta
all’eliocentrismo copernicano è associato alla magia solare di Ficino.
La pluralità dei mondi
Bruno difende con vigore la tesi copernicana dell’eliocentrismo pubblicata
nel 1543 e distrugge i limiti troppo stretti nei quali la religione cristiana
rinchiudeva l’universo e va anche oltre, affermando l’esistenza di un’infinità
di mondi abitati.
Concepisce una pluralità di mondi simili al nostro in un universo che
non sarebbe stato creato ma che sarebbe esistito da sempre. Questa concezione
si oppone alla teologia cristiana.
Ebbe il coraggio di mantenere la propria visione di un cosmo infinito
malgrado gli interrogatori e la tortura, ciò che fece di lui un simbolo
del pensiero laico contro il dogmatismo dell’Inquisizione.
Bruno immagina un universo infinito di cui Dio sarebbe l’anima.
Di spirito combattivo ed incline alla polemica, si mette contro la maggior
parte dei teologi e dei pensatori del suo tempo.
Giordano Bruno pubblica le sue idee nel 1584, in italiano ed in latino,
in un’opera intitolata: “De l’infinito, universo et mondi”.
Egli è l’ardente propagandista di un universo infinito, della pluralità
dei mondi e della vita nel cosmo:
«Persevera, caro Filoteo, persevera; non ti scoraggiare e non
indietreggiare, perché il grande e solenne senato della sciocca
ignoranza, con l’aiuto di multiple macchinazioni ed artifici, non minacci
e tenti di distruggere la tua divina impresa ed il tuo grandioso lavoro.
(...) E poiché nel pensiero di ciascuno si trova una certa santità
naturale, sita nell’alto tribunale dell’intelletto che esercita il giudizio
del bene e del male, della luce e delle tenebre, accadrà che, da particolari
riflessioni di ciascuno, nasceranno per il tuo processo dei testimoni
e dei difensori molto fedeli e integri. (...) Facci ancora conoscere quello
che è veramente il cielo, quello che sono veramente i pianeti e tutti
gli astri; come i mondi infiniti sono distinti gli uni dagli altri; come
un tale effetto infinito non è impossibile ma necessario; come
un tale effetto infinito giovi alla causa infinita; qual è la vera sostanza,
materia, atto ed efficienza del tutto; come tutte le cose sensibili e
composte sono formate degli stessi principi ed elementi. Apportaci la
conoscenza dell’universo infinito. Strappa le superfici concave e convesse
che terminano all’interno e all’esterno tanto degli elementi quanto del
cielo. Getta il ridicolo sulle sfere deferenti e le stelle fisse. Spezza
e getta a terra, nel boato e nel turbine dei tuoi argomenti vigorosi,
quello che le persone cieche considerano come le mura adamantine del primo
impulso e dell’ultimo convesso. Che sia distrutta la posizione centrale
accordata in proprio ed unicamente a questa Terra. Sopprimi la volgare
credenza nella quintessenza. Donaci la scienza dell’equivalenza della
composizione dei nostro astro e del nostro mondo, insieme a quelle di
tutti gli astri e di tutti i mondi che possiamo vedere. Che con le sue
fasi successive ed ordinate, ciascuno dei grandi e spaziosi mondi infiniti
nutra equamente altri mondi infiniti di minor importanza. Annulla i motori
estrinseci, nello stesso modo dei limiti di questo cielo. Aprici la porta
attraverso la quale noi vediamo che questi astri non differiscono dagli
altri. Mostra che la consistenza degli altri mondi nell’etere è simile
alla consistenza di questo. Fa chiaramente intendere che il movimento
di tutto proviene dall’anima interiore, affinché la luce di una tale contemplazione
ci faccia progredire un po’ più sicuri nella conoscenza della natura».
(De infinito, universo et mondi).
Ne "l'Immenso", Bruno scrive: «Dio è infinito
nell’infinito, dappertutto in tutte le cose, non al disopra né
al di fuori, ma assolutamente inerente ad esse». Tutti gli aspetti
della filosofia di Bruno (gnoseologia, metafisica, fisica, cosmologia,
etica) scaturiscono in virtù dell’onnipresenza dell’Uno. Sostituisce a
Dio il concetto di infinito.
La cena delle ceneri
“La cena delle ceneri” è il primo di tre grandi dialoghi metafisici di
Giordano Bruno, nel quale espone, contro i sostenitori di Aristotele e
di Tolomeo, e andando oltre lo stesso Copernico, le sue concezioni cosmologiche.
Se difende l’ipotesi copernicana durante una cena organizzata “in suo
onore” dai dottori inglesi il 14 febbraio 1584, giorno delle Ceneri, è
soprattutto per denunciare la pedanteria e l’oscurantismo dei cosiddetti
dottori, e anzitutto perché egli è il Bruno “inventore di nuove filosofie”.
Oggi la chiesa ancora si difende: essa non lo ha condannato per le sue
visioni cosmologiche, ma per le sue posizioni eretiche, dice lei… come
se le due cose possano essere separate, e come se la seconda giustificasse
il rogo meglio della prima!
D’altronde, piuttosto che l’eterodossia delle sue opinioni , è più la
sua capacità di cambiarne che era insopportabile alle istituzioni religiose.
Più relativista che scettico, Bruno scrive nel 1588, anticipando di quasi
due secoli la tolleranza dell’Illuminismo, che la propria religione “è
quella della coesistenza pacifica delle religioni, fondata sulla regola
unica dell’intesa e della liberta di discussione reciproca”. Bruno, se
si fida della ragione “di ciascuno”, disprezza i dotti.
Uno spirito libero
Giordano Bruno e la sessualità
Il desiderio di liberazione dai costumi, in particolare sessuali, è uno
dei fattori che spiegano la crescita dell’ateismo nel XVI° secolo. Gli
atei e gli eterodossi si sono fatti difensori di un amore naturale, svincolato
dai divieti religiosi.
Si sparge allora il sospetto di ateismo e sono numerose le vittime condannate
semplicemente a causa della reputazione di omosessuali che è loro attribuita
(è il caso di Giordano Bruno). Le autorità religiose fanno spesso un collegamento
tra la sodomia e l’ateismo. Tale associazione è comprensibile dal punto
di vista degli accusatori: ai loro occhi, colui che nega la verità fondamentale,
l’esistenza di dio, abbandona ogni valore assoluto, rinuncia all’ordine
divino del mondo che è allo stesso tempo cosmico, morale e intellettuale
e quindi ritorna al caos! Sembra che, per tutti quei fondamentalisti,
ogni situazione, sessuale o d’altro tipo, dipenda dal caos… dal momento
in cui questa è minoritaria.
L’ateismo teorico del rinascimento è uno degli elementi di una rivolta
più generale della mente contro la costrizione soffocante dei dogmi religiosi
cattolici, una rivendicazione di libertà globale di fronte tanto ai poteri
civili quanto a quelli religiosi, una ribellione contro i divieti sessuali.
Bruno l’«insopportabile»!
Avrebbe potuto condurre la vita facile di un erudito di quell’epoca,
se non fosse stato uno di quelli che fanno passare le proprie convinzioni
davanti ai propri interessi. Il suo spirito d’indipendenza e un forte
sentimento di rivolta di fronte agli abusi della chiesa, lo spingono a
rompere con l’ordine dominicano (1576). Deve fuggire da Napoli, poi da
Roma per scappare dall’Inquisizione. Cominciano allora anni di vagabondaggio:
a Ginevra, poi in Francia, in Inghilterra, in Germania e a Praga. Scomunicato
anche dai calvinisti e dai luterani, più di una volta è costretto a fuggire
in pieno dibattito per paura di farsi lapidare nella pubblica piazza.
È di un animo "carico di umorismo" e di un orgoglio la cui dismisura ha
uguale solo nella sua inflessibilità che lo rende propenso alla collera:
lo si rifiuta o lo si bracca dovunque.
Infatti, Bruno disturba più di qualcuno con le sue folli idee: atomista
convinto, si pone soprattutto come fervente difensore dell’eliocentrismo
di Copernico. Racconta (a chi lo vuole ascoltare) che la Terra gira su
se stessa, che non è il centro del mondo, che la Via Lattea è di natura
stellare e che il Sole è solo una di queste stelle, che il mondo è "un’infinita
riserva d’innumerevoli mondi uguali al nostro"... Trent’anni prima
di Galileo, senza lenti, avendo come solo strumento un giudizio non impregnato
dei grandi dogmi della propria epoca, Giordano presenta l’infinito...
Senza gentilezza né delicatezza, declama:
"Il Cristo? Un seduttore.
La verginità di Maria? Un’aberrazione.
La messa? Una blasfemia.
La bibbia? Un tessuto di menzogne.
I teologi? Pedanti che aggrottano le sopracciglia per darsi un’aria importante.
I filosofi? Pedagoghi ignoranti accecati dal culto degli ideologi, (...)
tutti "asini col basto" che passano la propria vita a sciupare
tutti gli argomenti che vangano loro sulle labbra (...) mentre lui, "intrepido
cavaliere errante del Sapere", va in guerra contro le false certezze...
No, le donne non sono meno intelligenti degli uomini. No, la gente di
chiesa non dovrebbe godere di beni così grandi ma accontentarsi di un
po’ di brodo; no, gli Spagnoli non hanno fatto bene a scoprire l’America,
perché hanno "violato la vita altrui".
Bruno si agita, tenta di convincere, poi, quando non trova più auditorio,
si mette a scrivere. La penna tra le sue mani non si fa più scrupoli della
sua lingua. Si susseguono così: una commedia burlesca, trattati
di mnemotecnica e soprattutto opere filosofiche.
Processo di un Apostata magnifico (1592-1600)
Il tradimento di Mocenigo
Dopo più di una quindicina d’anni di peregrinazioni e la venuta di una
ennesima espulsione, decide, nel 1591, di rientrare in Italia.
Si installa presso Giovanni Mocenigo, patrizio veneziano che lo ha invitato
a insegnargli la mnemotecnica, la geometria e l’arte di inventare. Presto
deluso, Bruno vuole ripartire e offende Mocenigo, già urtato dai modi
poco ortodossi del filosofo. Lo tiene prigioniero poi lo consegna all’Inquisizione
( maggio 1592 ).
Il 23 maggio 1592, Bruno è arrestato e imprigionato, si ritrova solo,
di fronte al "Santo Uffizio". Il tribunale dell’Inquisizione
si dà la missione di smascherare gli eretici per farli abiurare. Il processo
poteva durare a lungo, durò otto anni nel caso di Giordano Bruno. Per
lui, non saranno fatti di stregoneria o anticristianesimo che lo condurranno
al rogo, ma piuttosto la sua certezza che l’Universo è infinito e che
altrove altri esseri viventi esistono.
Il primo atto d’accusa si preoccupa soprattutto delle sue posizioni teologiche,
considerate come eretiche: si evoca il suo pensiero antidogmatico, il
rifiuto della transustanziazione e della trinità, la sua blasfemia contro
Cristo, la sua negazione della verginità di Maria... Ma le sue attività
filosofiche e scientifiche vengono già messe in risalto: vengono menzionate
la sua pratica dell’arte divinatoria, la sua credenza nella metempsicosi
e soprattutto la sua visione cosmologica. Man mano che il processo durerà,
l’atto d’accusa non cesserà di ingrossarsi fino a riassumere la vita intera
di una mente troppo liberamente alla ricerca e orgogliosamente assunta.
In un primo tempo, Bruno si difende abilmente, recitando all’occasione,
la commedia del pentimento ma unicamente su "errori minimi".
Ma il suo passato di apostata riprende il sopravvento e Roma ottiene la
sua estradizione. Nel 1593, dieci nuovi capi d’accusa impegnano Bruno
in sette anni di un processo interminabile, intervallato da una ventina
d’interrogatori condotti dal cardinale Bellarmino. Lo si pone sotto tortura.
Arriva a cedere, ad abbozzare un gesto di pentimento... prima di
riprendersi. Desideroso di finirla, il papa Clemente VIII intima un’ultima
volta Bruno a sottomettersi. L’imputato replica: «Non temo niente
e non mi pento di niente, non ho materia di cui pentirmi e non so di che
cosa mi debba pentire». La situazione è bloccata. Il 20 gennaio
1600, Clemente VIII ordina al tribunale dell’Inquisizione di pronunciare
il suo giudizio. Alla lettura della sua condanna al rogo, Bruno commenta
la sentenza pronunciata contro di lui con un coraggio poco ordinario,
citeremo le sue esatte parole più avanti.
Esistenze come quella di Bruno appaiono cariche di significato agli occhi
dei viventi che hanno la tentazione di appropriarsene. Ma i migliori epitaffi
sono talvolta redatti dai morti stessi: «È dunque verso
l’aria che spiego le mie ali fiduciose. Non temo alcun ostacolo, né di
cristallo, né di vetro, fendo i cieli, e mi erigo verso l’infinito. E
mentre da questo globo mi elevo verso altri cieli e penetro oltre attraverso
il campo etereo, lascio dietro di me ciò che altri vedono da lontano».
Il Processo
Si
dice che durante il suo processo conservò tutta la sua insolenza: "Avete
certamente più paura voi nel pronunciare quella sentenza che io nell’ascoltarla!
", avrebbe tuonato davanti ai suoi giudici.
La condanna del filosofo come "eretico", su ordine del papa
Clemente VIII, mette una fine brutale alla vita di peregrinazioni, di
dispute e di tormenti di questo essere eccezionale. Essa è rappresentativa
dell’intolleranza e degli eccessi ideologici, nel campo cattolico così
come nel campo riformato, in quell’epoca delle guerre di religione e della
fine del Rinascimento.
L’8 febbraio 1600, dopo sette anni di processo, d’incarcerazione e di
torture nel corso delle quali ha sempre rifiutato di abiurare le sue convinzioni,
il "Santo Uffizio" lo caccia dalla Chiesa come "eretico
impenitente" e lo rimette a una corte secolare che lo condanna a
morte.
Il Supplizio
All’alba
del 17 febbraio del 1600, quattro secoli fa, a Roma, in Campo de’ Fiori,
Giordano Bruno sale sul rogo, su ordine del papa.
Viene legato al patibolo del rogo dell’Inquisizione. Sfidando ancora l’autorità,
distoglie lo sguardo dal crocefisso che gli viene presentato.
L’uomo è attaccato nudo al patibolo del rogo. Ha cinquantadue anni. La
folla lo circonda.
Viene fissato il morso di legno destinato a impedirgli di parlare, di
urlare un’ultima volta, per impedirgli materialmente di urlare ancora
una volta la propria rivolta e la propria convinzione.
Sul rogo, Giordano Bruno ha forse rivolto lo sguardo verso il cielo, quel
cielo che descriveva infinito e multiplo... ormai velato dal fumo delle
fiamme che salgono verso di lui.
Il rogo consuma quel corpo che non ha cessato di ridere, di pensare, di
commuoversi e di provocare.
Giordano Bruno non ha ceduto davanti all’Inquisizione. Non ha abiurato
alcunché della propria visione del mondo.
Il suo crimine: aver avuto, prima di Galileo, Leibniz, Einstein o Mendeleïev,
l’intuizione geniale di ciò che è divenuto la teoria generale dell’Universo,
la relatività, la chimica, la genetica, etc.
Bruno incarnò la lotta della coscienza contro il dogmatismo. Dopo gli
eretici e gli stregoni, si mettono al rogo i libri giudicati empi. Tutti
i libri scritti da Bruno, che i giudici poterono trovare, furono bruciati
in piazza San Pietro.
Il martirio del filosofo errante, cercatore dimenticato, discreditato
dalla chiesa, è il simbolo di tutti i crimini contro la mente.
Questo visionario della pluralità dei mondi, inflessibile e sulfureo,
tre volte scomunicato, continua a incarnare, quattrocento anni più tardi,
la resistenza a tutti i dogmi.
Le pietre del Ricordo
Il
17 febbraio 1907, per il 307° anniversario del supplizio di Giordano Bruno,
un processo dagli accenti fortemente anticlericali annerì Campo de’ Fiori
a Roma, davanti alla statua di Ettore Ferrari, eretta il 9 luglio 1889
alla gloria del filosofo Nolano. È in quel luogo che un grande raduno
di tutti gli atei è programmato il 13 dicembre 2004.
Una lastra di pietra incisa all’ospedale di Orbetello, una piccola città
del sud della Toscana, è dedicata alla memoria di: «GIORDANO
BRUNO, filosofo e martire, che ai tempi della tirannia sacerdotale, del
feudalesimo e dell’assoggettamento ha elevato la propria fede fino alle
manifestazioni più elevate della convinzione ribelle, di cui il rogo ne
bruciò le carni ma glorificò il pensiero fino al trionfo, il popolo di
Orbetello vuole ricordare il nome in questo istituto caritatevole, consacrato
al dolore degli umili guariti dalla scienza e dall’amore, e non dal miracolo».
La posizione della Chiesa
La canonizzazione di Bellarmino
Il cardinale Roberto Bellarmino, che istruì il processo di Giordano Bruno
e di Galileo, è stato canonizzato nel 1930... per ragioni politiche
evidenti legate all’epoca: era solo un anno che il "duce"
Benito Mussolini, firmatario dei "Patti Lateranensi",
aveva offerto al Papa, con questi accordi di Laterano, una piena e definitiva
sovranità sullo stato del Vaticano; Pio XI, ben deciso a sostenere
quanto meglio possibile quel dittatore fascista, l’aveva d’altra parte
qualificato come "Uomo della provvidenza". Ma questa
canonizzazione interveniva anche in reazione all’edificazione a Roma di
una statua di Giordano Bruno posta lì dai massoni.
Nessun passo indietro sulla condanna
Il 3 febbraio 2000, in occasione del 400° anniversario della morte di
Giordano Bruno, il cardinale Poupard, presidente del consiglio pontificio
della cultura – organismo che riabilitò Jan Hus e Galileo – ha espresso
il rammarico della Chiesa davanti ai roghi dell’Inquisizione. Affermò
nettamente la loro «incompatibilità con la verità evangelica». Ha anche
annunciato che il Papa Giovanni Paolo II avrebbe chiesto perdono il 13
marzo nella basilica di San Pietro, durante una celebrazione volta a «ricreare
il dialogo della Chiesa con tutti gli uomini». Ciononostante confermò
che Bruno non sarebbe stato riabilitato, sebbene ci sia motivo di biasimare
l’uso della forza impiegata contro di lui: «La condanna per eresia di
Bruno, indipendentemente dal giudizio che si voglia portare sulla pena
capitale che gli fu imposta, si presenta pienamente motivata» dichiarò
il prelato.
Si spinse fino ad affermare che la chiesa aveva fatto di tutto per non
uccidere Bruno ma è, al contrario, l’attitudine di lui, ottusa e dogmatica
ad essere stata causa della sua perdita!
La "Santa" Sede si rammaricava dunque, a denti stretti, del
rogo ma manteneva la validità teologica della condanna. Non poteva fare
altrimenti poiché l’inquisitore responsabile delle condanne di Bruno e
Galileo, il cardinale R. Bellarmino, era stato beatificato, canonizzato
e fatto Dottore della chiesa. Si constata dunque che la chiesa ha manifestato
alcuni pentimenti certi, ma che questi non sono arrivati fino alle de-canonizzazioni
e de-beatificazioni che tuttavia s’imporrebbero se i pentimenti fossero
sinceri ed i rimorsi reali.
Altrimenti detto, se Bruno ritornasse oggi, avendo sempre le stesse convinzioni,
non sarebbe più palesemente condannato a morte - perché i costumi sono
(... un po’) migliorati - ma sarebbe condannato comunque, poiché poco
importano alla Chiesa i nuovi progressi della scienza che provano che
è lei ad essere in errore, le convinzioni di Giovanni Paolo II rimangono
le stesse di Clemente VIII... Non sorprende che abbia il sostegno di tanti
"conservatori".
Revisionismo!
Un certo revisionismo storico ha grande seguito in questo momento in
Italia, revisionismo che nacque in Francia alla fine del secolo scorso.
I revisionisti arrivano a tacciare Bruno di aver praticato l’occultismo
e pretendono che il suo mito sia stato ripreso dalla massoneria italiana
a metà del XIX secolo.
Fare di Bruno un occultista renderebbe meno abominevole il suo assassinio
da parte dell’Inquisizione nell’ottica vaticana... o forse ciò non eviterebbe
piuttosto di doversi porre troppe domande sulla pertinenza delle intuizioni
che facevano annunciare a questo filosofo che esistono nel cosmo altri
mondi abitati?
Uomo di genio dal carattere difficile, profeta del pensiero futuro, Giordano
Bruno ebbe la sfortuna di vivere in un tempo in cui si bruciavano gli
eretici... cioè tutti coloro che avevano la volontà ed il coraggio di
pensare qualcos’altro rispetto a ciò che la chiesa intendeva imporre alla
loro mente.
13 dicembre 2004 - Appuntamento a Campo de' Fiori
Bibliografia
Scritti di Giordano Bruno
- G. Bruno: La Cena de le Ceneri.
- G. Bruno: De l'Infinito Universo et Mondi.
- G. Bruno: De la Causa, Principio et Uno.
- G. Bruno: Spaccio de la Bestia Trionfante.
- G. Bruno: Cabala del cavallo Pegaseo.
- G. Bruno: De gli eroici furori.
Libri su Giordano Bruno
- Verrecchia A., 2002. Giordano Bruno. La falena dello spirito. Donzelli Editore, Roma.
- Levergeois B., 1995. Giordano Bruno. Fayard, Parigi.
- Ordine N., 1993. Le mystère de l'âne. Essai sur Giordano
Bruno. Les Belles Lettres, Parigi.
- Rocchi J., 1989. L'errance et l'hérésie ou le destin de Giordano Bruno. Editions François Bourin, Parigi.
- Yates F.A., 1988. Giordano Bruno et la tradition hermétique. Dervy-Livres, Parigi.
Articoli
- Granada M.A., 1998. Les audaces cosmologiques de Giordano Bruno. La Recherche, HS avril: 12-15.
- Lerner L. & Gosselin E., 1987. Galilée et le fantôme de Giordano Bruno. Pour la Science, 111: 62-69.
- Pantin I., 1993. Giordano Bruno, l'impardonnable précurseur
de Galilée. Sciences et Avenir, 551: 80-84.
- Thuillier P., 1988. Martyr de la science ou illuminé? Le
cas Giordano Bruno. La Recherche, 198: 510-514.
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